La misura del tempo e la ricerca della verità Il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio

Il Inserito in Approfondimento.

La misura del tempo e la ricerca della verità

Il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio

«Mentre guardavo le lievi increspature sulla superficie del mare mi venne in mente una frase di Elias Canetti. Suggeriva di non credere a nessuno che dicesse sempre la verità: “La verità è un mare di fili d’erba che si piegano al vento, vuol essere sentita come movimento. È una roccia solo per chi non la sente e non la respira». Il mare è quello che si vede dalla «spiaggia deserta di San Francesco», a Bari; le parole sono dell’avvocato Guido Guerrieri, protagonista dell’ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio La misura del tempo (Einaudi, 2019), che lo vede impegnato nella difesa, in appello, di un giovane accusato di omicidio.

Il libro – che si legge d’un fiato – ci porta dentro una vicenda processuale che costringe Guerrieri a riflettere su cose che appartengono al suo passato, su un innamoramento giovanile, sulle scelte compiute e sulle conseguenze che esse hanno ancora per l’oggi, sull’importanza del tempo nel mutamento del nostro modo di affrontare la vita quotidiana e, in definitiva, di noi stessi: «A pensarci bene, i cambiamenti si producono solo nei momenti in cui incontri davvero un’altra persona. Di solito sono attimi, tempi minimi, ma con una importanza decisiva nelle nostre autobiografie. Quasi mai ne siamo consapevoli».

Tra i ragionamenti sulle procedure, sulla linea difensiva e sulla ricostruzione di una vicenda affrontata con superficialità e approssimazione sia da chi aveva indagato sull’omicidio, sia dallo stesso difensore nel giudizio di primo grado, emerge in Guerrieri la domanda sul valore della ricerca della verità in rapporto al processo, alla coscienza propria e dei diversi soggetti coinvolti: «Signor presidente, signor giudice a latere, signori giudici popolari – dice l’avvocato iniziando la sua arringa –, non parlerò troppo a lungo perché nei processi in cui le cose sono limpide e lineari bisogna soprattutto evitare il rischio di complicarle. Compito della difesa, legittimo certo, è invece di renderle complicate per nascondere una verità che in certi casi, come in questo, è palese e non confutabile.  Mi viene da ricordare un passaggio famoso dei Promessi sposi, quello in cui Azzecca-garbugli dice a Renzo: “All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi imbrogliarle”».

Nel corso della narrazione, la domanda sulla verità acquista una sua consistenza al di là della processo e tocca la questione del senso della vita del protagonista e della direzione nella quale egli sta camminando: «Uscii a mangiare qualcosa nel negozio biologico con cucina vicino allo studio. Resistetti all’impulso di prendere anche un bicchiere di vino. Feci una breve incursione alla Feltrinelli, anch’essa poco lontana. Vagabondai fra gli scaffali, una forma di ansiolitico per me, salutai qualche frequentatore abituale della libreria nel primo pomeriggio, comprai gli aforismi e frammenti di Kafka dopo averne letto qualcuno. Il numero 38 così recitava: “Un tale si meravigliava della facilità con cui percorreva la via dell’eternità. Di fatto la stava percorrendo in discesa”».

Della storia narrata e dell’esito del processo ovviamente non diciamo nulla: li scopriremo solo leggendo.