Approfondimento periodico: Salvare la libertà. Un Manifesto per la società dei liberi

Il Inserito in Approfondimento.

Salvare la libertà. Un Manifesto per la società dei liberi

 

In questi giorni nei quali limitiamo l’esercizio di alcune libertà per poter poi tornare – noi e gli altri – ad esercitarle, può sicuramente rivelarsi utile prendere in mano il libro Generativi di tutto il mondo, unitevi! Manifesto per la società dei liberi (Feltrinelli) scritto alcuni anni fa, nel 2014, da Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, entrambi docenti di Sociologia nell’Università Cattolica di Milano nonché marito e moglie.

«Chi, oggi, è contro la libertà? Se c’è un destino che sentiamo di condividere, come uomini e donne del ventunesimo secolo, è proprio quello della libertà. Tutti ci pensiamo e ci vogliamo liberi», leggiamo nella pagina iniziale. Sentirsi liberi è «un’esperienza inebriante», ma «come ogni grande amore la libertà è impegnativa». È necessario, dunque, un «avviso ai naviganti»: «Abbagliati dall’emergere vittorioso dell’io, ci dimentichiamo che la libertà è, per sua natura, relazionale: esiste e si esprime solo in rapporto ad altro e ad altri; e alle forme sociali e istituzionali che la contengono e, in qualche misura, la plasmano. La libertà non è mai solo “mia”. È sempre anche “nostra”. La libertà è un progetto sociale».

Guardando ai «disastri del ventesimo secolo», gli Autori sottolineano che «la liberazione della libertà sprigiona energia umana. E, quando si libera, la libertà è capace di grandi cose. Ma se, una volta liberata, per una qualsiasi ragione implode – a causa, per esempio, di un’ideologia o di una crisi – il contraccolpo può essere disastroso. Quanto più la libertà si espande, tanto più il suo collasso è rovinoso. È per questo che il ventesimo secolo ha attraversato momenti così bui: che lo si ammetta o meno, quanto è accaduto nella prima parte del secolo scorso ha a che fare con la storia della libertà. (…) Liberandosi, la libertà deve sempre imparare a fare i conti con se stessa, con i suoi fallimenti e i suoi smarrimenti. Con la possibilità della sua dissoluzione. La liberazione della libertà è un affare molto serio».

La libertà vive un’adolescenza in cui l’io contemporaneo non vuole sentir parlare di limiti. Ma «se ci guardiamo attorno, dobbiamo ammettere che la società dei liberi non è quel paradiso che i nostri padri avevano sognato. Com’è stato possibile che la disuguaglianza abbia raggiunto il suo picco storico proprio negli ultimi decenni? Perché la ricchezza si è concentrata nelle mani di pochi? Perché la depressione è così diffusa? Perché c’è tanta solitudine nelle nostre città? Come mai l’indifferenza regna sovrana nelle democrazie avanzate?». Queste domande esigono una risposta non di rassegnata accettazione, ma creativa, generativa di novità per «salvare la libertà da se stessa», perché la storia della libertà non finisca «nel vicolo cieco del nulla» e imparare dai grandi eroi della libertà (come Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela, Václav Havel, Óscar Arnulfo Romero) che nella seconda metà del Novecento ne «hanno esteso l’ideale alle minoranze emarginate e al di là dei confini occidentali», rendendola universale.

Nel ventunesimo secolo «la libertà, che ha vinto, è profondamente in crisi. Non abbiamo scelta: per scongiurare i rischi di una regressione, occorre guardare avanti, cominciando a scrivere una nuova pagina della sua storia». È questa, scrivono Magatti e Giaccardi, la ragione del Manifesto che ci presentano.

L’alternativa alla stagnazione (dicono gli Autori citando Erik Erikson) è la generatività che, «nel percorso di crescita personale, caratterizza l’ingresso nella fase della maturità»; «modo di essere che cerca di promuovere, attraverso la cura, la vita propria preoccupandosi della vita degli altri e valorizzandone le capacità di contribuzione. In sostanza, la generatività è un principio accrescitivo (e non, quindi, di mero bilanciamento) capace di spingere la libertà un passo avanti: dopo essersi liberata, il suo destino non può non passare attraverso il riconoscimento dell’altro da sé».

È “generativa”, dunque, «la personalità capace di dare risposte originali agli eventi (positivi o negativi) nei quali si imbatte, grazie a un orientamento di fondo volto al desiderio di investire le proprie energie in forme di vita e lavoro che sopravvivano al Sé. In questo modo, tale personalità riesce ad ampliare il proprio spettro d’azione sia sull’arco temporale – non c’è solo il qui e ora, ma anche un prima e un dopo – sia su quello spaziale – non c’è solo la cerchia dei familiari e il microcosmo di appartenenza, ma ci sono altre persone e altri mondi verso cui rivolgere l’attenzione. Sentendosi chiamata a dare il proprio apporto alla realtà che la circonda, la personalità generativa contribuisce a renderla più bella e accogliente. Capace di mettere in gioco la propria libertà al di là di se stessa, essa diventa capace di “generare”».

Il libro scava dentro di noi con un’analisi che ha una funzione liberatoria, per farci scoprire «lo spazio e il tempo della profondità». Ci propone «i sette caratteri del rafting generativo» (eccedenza, intraprendenza, valorizzazione, personalizzazione, alleanza, resilienza, sostenibilità sociale e ambientale) e i quattro verbi del generare (desiderare, partorire prendersi cura, lasciar andare) da coniugare nel modo giusto, per arrivare alle cinque commesse della politica generativa (capacitazione personale, impresa come istituzione plurale, rete come tecnologia dello spirito e della collaborazione, libertà religiosa per un’esperienza umana integrale, beni di comunità come laboratori di nuove forme istituzionali). «La sfida impegnativa e affascinante che i generativi hanno davanti a loro è quella di lottare per liberarsi dalla prepotenza dilagante di una società del consumo iperindividualizzata e funzionalizzata, moltiplicando i luoghi e le occasioni di generatività e rendendo così possibile una maggiore pluralità di forme di vita e di libertà. Verso la demo-archia e l’economia del valore condiviso». Imparando a pensare e ad agire in termini solidali.

Auguriamo a tutti non solo buona lettura, ma – pensando alla libertà – anche un ascolto distensivo, in questi giorni di coronavirus: Think (forse più conosciuta appunto come Freedom), scritta nel 1968 da Aretha Franklin e da suo marito Ted White, entrata poi nella colonna sonora del mitico film di John Landis The Blues Brothers (1980) con Dan Aykroyd, John Belushi e alcuni mostri sacri della musica di quegli anni. Ecco il link: https://youtu.be/Vet6AHmq3_s